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Il riccio

I disegni di Radek e Martyna (Polonia)


Il riccio

Il riccio abitava in una tana vicino alla pietra dell’ingresso al bosco. Non aveva gli amici. Gli animali avevano paura di lui.

Una volta la lepre allungò la zampina per giocare con il riccio e lui alzò le spine e la punse.

Un’altra volta la volpe voleva annusare e conoscere il riccio e lui alzò le spine e la punse.

Un’altra volta lo scoiattolo voleva regalare al riccio una noce e lui la punse.



Il riccio quindi non aveva una buona opinione, era considerato cattivo, scorbutico ed egoista dispettoso. Nessuno voleva giocare con lui e quando il riccio passava per il sentiero gli animali si allontanavano in fretta un po’ per paura, un po’ per dimostrargli il loro disinteresse. Il riccio sembrava di non preoccuparsi più di tanto, sembrava che non avesse bisogno degli amici, ma in fondo al cuore gli dispiaceva di non poter scambiare con nessuno una parola o di giocare.

Era sempre solo e nessuno si preoccupava di lui. Tante volte egli sentiva cantare gli uccelli davanti alla sua tana, allora sperava di poter fare una chiacchierata con loro, ma appena il suo naso spuntava dalla tana gli uccelli si allontanavano in fretta alzandosi in volo. Le giornate di riccio, quindi, erano tristi, anche se lui stesso cercava di non pensarci.

Un giorno il riccio camminando per il sentiero vide un gruppo di animali che parlavano con animazione. Nessuno lo notò. Il riccio si era incuriosito per questa riunione in mezzo al bosco e decise di capire di che cosa si trattava. Gli animali erano così eccitati che nessuno di loro scorse il riccio che giungeva sempre più vicino e sempre più vicino, fino a poter sentire ogni parola degli abitanti del bosco.

“Amici!” Parlava il tasso. “La nostra amica lepre e i suoi figli stanno molto male, ormai da giorni che non escono dalla tana. Dobbiamo portare a loro qualcosa da mangiare!”

“Ma come si fa? La famiglia delle lepri ha l’influenza, appena andremo a trovarla ci ammaleremo anche noi!” – rispose la volpe.

“Sì, è vero! E poi staremo male anche noi” - affermò il coro degli animali

“Bisogna, però che qualcuno di noi lo faccia, altrimenti la famiglia delle lepri non guarirà mai! Peggio: morirà di fame!” – Constatò il tasso.

“Io non posso!” – ribatté lo scoiattolo  – “Io ho i figli piccoli e si mi ammalo chi penserà a loro?”

“Io non posso perché la lepre ha paura di me, penserà che io voglia mangiarla.” - disse la volpe.

“Anch’io non posso per gli stessi motivi.” Ribadì il tasso.

“Anch’io non posso”,  si intromise l’orso, “Ho sempre fame e ho paura di non resistere e di mangiare tutto ciò che dovrei portare alla lepre”.

 “Allora come si fa? La famiglia delle lepri deve mangiare, altrimenti muore!”.

Il riccio si ricordò della lepre, era simpatica. Voleva giocare con lui, ma lui la punse e poi gli dispiacque molto. Sì, la punse perché prese paura, quando la lepre allungo la zampina, perché credeva che essa voleva fargli un dispetto. Ma ora le dispiaceva tanto, vorrebbe rimediare e chiederle scusa.

Il riccio si alzò in piedi:

“Ci vado io!”

Tutti si girarono ed istintivamente balzarono, allontanandosi in fretta, perché tutti avevano paura di lui e della palla delle sue spine appuntite.

“Riccio? Ci vai tu? E perché? Eppure tu sei cattivo!” dicevano tutti.

“No, mi dispiace se pensate così di me, non sono cattivo!” rispose battendo i piedi e quasi piangendo.

“Ma tu sei dispettoso perché pungi tutti” constatarono tutti gli animali in coro.

“No, non volevo pungere nessuno, ma sapete, a volte le cose si fanno senza volere, soprattutto quando si ha paura!”.

“Paura? Tu hai paura? E di che cosa?”  chiese il lupo che ancora si ricordava il dolore al naso.

“Succede così: si usa la forza quando si ha paura”, continuava il riccio dispiaciuto. “Uno quando si sente debole, può tirare fuori tutto ciò che è cattivo in lui, persino attaccare, solo per paura di essere attaccato”.

“Ma nessuno di noi voleva attaccarti!”  rispose lo scoiattolo. “Io ti volevo regalare una noce, e tu mi hai punto!”

“Sì, è vero, ma perché ti ho visto sempre così allegra, così bella con questa tua coda rossa!  Ti ho visto così abile, che saltavi fra i rami e ho pensato che volevi avvicinarti a me solo per prendermi in giro perché io non so fare queste cose! Perché non so salire sugli alberi, non so saltare sui rami, sono piuttosto goffo e a posto di peli ho una palla di spine.” Parlava il riccio quasi piangendo.

“Mi dispiace…” Cercò di interrompergli lo scoiattolo, ma il riccio continuava, con la voce tremante:

“Sei venuta a regalarmi una noce dura, come se tu non sapessi che io non riuscirei nemmeno a spezzarla! Che cosa dovevo pensare? Ho pensato che tu così bella, così abile, così forte mi volevi prendere in giro! La tua abilità e la tua spensieratezza sono la tua forza… ed io volevo dimostrarti la mia forza!... Ma invece la forza ho fatto vedere solo la mia cattiveria. Scusami.” Aggiunse con la voce dispiaciuta.

“Non sapevo che tu pensavi così di me. Mi dispiace. Io salto fra i rami perché questa e la mia natura, ma quante cose che non so fare!”

“Ma perché hai punto me e il lupo?” chiese la volpe.

“Perché pensavo che mi volevate fare del male con i vostri denti lunghi ed affilati.”

Gli animali si guardarono tra di loro, capirono che il riccio non era cattivo ed egoista, ma era solo e indifeso, e proprio la solitudine e la paura degli altri gli faceva usare le spine. Loro l’hanno giudicato male, perché nessuno mai si è sforzato di conoscerlo e di conoscere le sue abitudini. E lui semplicemente aveva paura!

“Caro Riccio”,  disse il tasso. “Ci  dispiace perché ti abbiamo giudicato male, e ti abbiamo lasciato solo. Ma tu ci hai spaventato con le tue spine. Ma ora abbiamo capito che sei il nostro amico, che avevi paura dei nostri denti, che avevi paura di essere preso in giro. Non avere più paura di noi. Siamo una grande famiglia e dobbiamo tenerci insieme se vogliamo vivere in questa foresta. Vedi tu stesso, la lepre sta male e ora ha bisogno di noi, dobbiamo aiutarla.

“Voglio aiutarla anch’io, quindi le porterò da mangiare”, rispose il riccio.

Gli animali portarono davanti al riccio la frutta: le mele, le carote, anche i cavoli e poi chiesero tutti insieme:

“Riccio, ma come fai? Le tue zampine sono corte, come fai prendere tutte queste cose e portarle alla lepre?”

Il riccio non rispose, sorrise e poi si buttò per terrà con la pancia in su, diventò come una palla e poi comincio a rotolarsi per terra, raccogliendo e infilando sulle spine le mele, le carote, il cavolo e quando si mise in piedi sembrava una palla fatta di frutta.

Gli animali si misero a ridere

“Riccio quanto sei buffo!”


Il riccio rise anche lui, finalmente faceva parte di questa grande famiglia degli animali ed era felice.

Il tasso, alzò la mano e disse:

Ecco abbiamo la prova, che ciò che ci sembra pericoloso e cattivo, può essere utile e buono.

Ecco cosa succede quando le forze le usiamo male! Facciamo dispetti e facciamo del male agli altri anche se non lo vogliamo fare. Gli altri, allora, si allontanano da noi per paura e rimaniamo soli. Crediamo di valere se dimostriamo la nostra forza, ma invece dimostrare la forza dimostriamo la cattiveria! Invece ogni forza che abbiamo possiamo usarla bene e così si che valiamo. Credetemi, non è bello essere temuti, e meglio essere amati! Così come oggi il nostro caro amico riccio, ha dimostrato che ciò che temiamo, le sue spine, sono utili anche per portare aiuto agli altri!

“Riccio,” Il tasso si rivolse all’animaletto commosso, guardandolo direttamente negli occhi. – Ci hai dimostrato che la tua forza non significa cattiveria, che la tua forza la usi per aiutare coloro che hanno bisogno. Ci hai dimostrato che le spine non devono per forza pungere, ma possono essere d’aiuto per qualcun altro. Vai allora dalla lepre, portale tutti i nostri doni e dille che l’aspettiamo, che tutti noi siamo i suoi amici.”

“Scusate”, interruppe l’orso “ noi mandiamo il riccio dalla lepre che sta a letto con l'influenza, ma nessuno di voi si preoccupa che anche lui potrebbe ammalarsi?” E poi si rivolse al riccio: “Amico, come farai se l'influenza vorrà attaccare anche te?”

“Non avrà il coraggio”, rispose seriamente il riccio. “Le farò vedere le mie spine, e se vorrà provarci, la pungerò!”

Tutti gli animali si misero a ridere, anche il riccio. Poi l’accompagnarono proprio davanti alla tana della lepre e l’aspettarono fuori. Dopo qualche istante il riccio uscì sorridente e dichiarò:

“Siamo diventati amici!”

Da quel momento nessuno più evitava il riccio, anche gli uccelli che cantavano davanti alla sua tana si fermavano a lungo e non si spaventavano quando egli usciva dalla sua casina per udire meglio il loro concerto.  



 
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